Neuberger Berman analizza le ragioni per cui il principale indice di Wall Street sembra non riflettere le condizioni gravi in cui versa l’economia reale e prevede che la volatilità continui sulla Borsa di Wall Street
L’epidemia di coronavirus ha creato danni ingenti e non ha risparmiato nemmeno il legame tra l’indice S&P 500 e l’economia statunitense. Il principale indice di Wall Street resta infatti a una distanza di solo il 15% dai massimi mentre a metà marzo aveva perso il 30%, livello compatibile con una normale recessione. Ma questa non è una recessione come tutte le altre, nel primo trimestre ha causato una contrazione vicina al 10% dell’economia cinese, e prima ancora che si avvertissero gli effetti del lockdownglobale, ha ridotto del 3,8% il PIL dell’Eurozona e del 2% quello del Regno Unito. Intanto la produzione industriale degli Stati Uniti è scesa del 15% e le vendite al dettaglio del 22%.
Sembra un quadro contraddittorio con lo S&P a quota 2800, ma in realtà potrebbe non essere così strano come sembra, perché i segmenti dell’indice più ciclici e sensibili all’andamento dell’economia, sono stati massacrati come l’economia stessa, come ad esempio il settore finanziario che al 15 maggio aveva perso oltre il 30% da inizio anno e quello automobilistico oltre il 40%. Queste perdite sono state oscurate dalla performance di settori non ciclici, come il sanitario o i beni primari, o di altri che stanno fornendo servizi essenziali, come la tecnologia e l’e-Commerce, dove operano i colossi che hanno trainato Wall Street.
Quando in un solo trimestre anche gli utili delle società più resilienti subiscono perdite a doppia cifra, è chiaro che nessun indice azionario è completamente al sicuro da uno shock economico di simile portata. Per questo è prevedibile che l’S&P 500 continuerà a essere dominato dalla volatilità.
Articolo completo su financialounge.com
Comments